Al forestiero che vien dalla Capitale, presentasi a prima vista una picciola torre, alla destra dell’attuale abitato, e sul picco di una roccia calcarea del monte vicino. Da taluni si crede quella torre una fumiera per dare avvisi, (a foggia degli odierni telegrafi, sebbene di gran lunga diversi) e per comunicare a quelle di Ravindola, Capriata, e Nunziata a lunga (G. COTUGNO, Memorie istoriche di Venafro, Napoli 1824).

Da almeno un millennio sullo sperone di roccia che spunta dalla montagna di S. Croce a ovest di Venafro una articolata costruzione sembra vegliare sulla città. Ormai l’abbandono e le insidie del tempo hanno cancellato buona parte dell’antica architettura, ma quello che rimane é sufficiente per farci capire che si tratta di un edificio che faceva parte di un articolato sistema di avvistamento e di controllo della pianura del Volturno.

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Tracce consistenti di murature antiche, probabilmente del I secolo avanti Cristo, dimostrano che la cinta muraria romana arrivava fino a quel punto per girare attorno allo spuntone roccioso per raggiungere un’altro punto (dove passa l’acquedotto moderno sopra Montevergine) che il Cotugno nel XIX secolo chiamava la “torricella scarrupata”. Probabilmente solo in epoca longobarda, intorno al mille, la Torricella acquisì una forma organica adatta anche ad ospitare per lungo tempo gli uomini destinati alla sua utilizzazione.

La parte più alta, in pianta rettangolare, era riservata all’avvistamento perché costituita da due stanze sovrapposte sicuramente munite nella zona della copertura di un piano di ronda che permetteva di guardare sull’intera pianura collegandosi visivamente con le altre torri e gli altri punti strategici che facevano parte del sistema. Più in basso alcune stanze erano riservate all’alloggio degli addetti, compresa una piccola cappella con la parte occidentale absidata sotto la quale ancora rimangono le pareti di una cisterna che raccoglieva l’acqua piovana.

Alla Torricella si arrivava mediante una stradina che partiva dalla zona compresa tra la chiesa della Madonna delle Grazie ed il Teatro Romano e che nel XVII secolo ancora era in buono stato e si chiamava, come ricorda Ludovico Valla, la via della Pianella.

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Sulla utilità e sulla funzione difensiva della Torricella di Venafro ci può essere utile una descrizione di Riccardo di S. Germano che racconta di Diopoldo che, assalito dalle truppe di Gualtiero di Brenna, di Rainaldo di Celano, arcivescovo di Capua, e di Roffredo abate di Montecassino, abbandonò la città di Venafro che venne incendiata alla vigilia della festa di S. Giovanni nel 1201. Così Riccardo di S. Germano.: Il papa spedisce nel regno contro i Tedeschi Gualtiero Conte di Brenna. Il quale venuto a battaglia presso Capua con Diopoldo, lo debellò e mise in fuga addì 10 di giugno; e di là passando a Teano, che per lui parteggiava, di unita a Rainaldo Arcivescovo di Capua, figlio del Conte di Celano, si recò a Presenzano; dove uscendogli incontro il detto Abate di Montecassino, insieme mossero innanzi e si condussero a Venafro, città che tenevasi da Diopoldo. Il predetto Conte di Celano per timore si collegò al Conte di Brenna, e alla fine la città per opera di esso Abate e Malgieri Sorello nelle vigilia di S. Giovanni Battista fu abbruciata, tenendosi la rocca superiore per Diopoldo. (RICCARDO DA S. GERMANO, “Cronica”, op. cit., p. 18: … et petierunt Venafrum, quam civitatem idem Diopoldus tenebat … in vigilia S. Johannis Baptistae igne cremata est, arce superiori se pro Diopuldo tenente.)

La rocca superiore (arce superiori) di cui parla Riccardo dovrebbe essere proprio la cosiddetta Torricella di Venafro

fonte: www.francovalente.it

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